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Caratteri e origini della tammurriata
L'elemento musicale costante di quasi tutte le feste dell'area vesuviana è la cosiddetta 'tammurriata'. Questo termine in realtà, è entrato in uso solo a partire dagli anni '70, in seguito al lavoro svolto dal musicista Roberto De Simone; prima invece si parlava di "cantata e abballata 'ncopp 'o tammurro" (canto e ballo sul tamburo). Questo tipo di espressione musicale, tipicamente campana, è riscontrabile nell'area vesuviana (Giugliano, Somma Vesuviana, Pomigliano, Terzigno), in costiera amalfitana (Maiori) e nell'area dell'Agro Nocerino-Sarnese, in provincia di Salerno.
Si tratta sicuramente di un linguavvio musicale antichissimo, che risale addirittura a migliaia di anni fa: al Museo Archeologico di Napoli è conservato infatti un mosaico, realizzato tra il secondo ed il primo secolo a.C., proveniente dalla Villa di Cicerone a Pompei, in cui sono raffigurati dei 'musici ambulanti' con in mano castagnette, tammorra e doppio flauto.
Un linguaggio, una forma che è un vero e proprio 'rito' musicale, che affonda le radici nel remoto passato delle feste familiari; oggi invece lo si incontra soprattutto nelle celebrazioni mariane e nei pellegrinaggi, con evidenti segni di 'osmosi' tra elementi sacri e profani.
L'esecuzione inizia con l'azione della tammorra, strumento costituito da un pezzo di legno di faggio dal diametro che oscilla tra i 40 e i 50 centimetri, con sopra tesa una pelle di capra, mentre intorno al cerchio ci sono dei fori con dei dischetti di latta, chiamati cembali. La tammorra si tiene con una mano, mentre con l'altra la si percuote utilizzando in modo timbricamente diverso la punta delle dita, la forza percussiva del pollice ed il palmo della mano.
'All'inizio dell'esecuzione', rammenta Romeo Barbaro, uno dei più importanti esecutori di questo genere musicale, 'il ritmo è più freddo, per cui occorrono una decina di minuti prima che l'atmosfera si scaldi: deve prodursi cioè un clima tale per cui tutti i presenti sentono lo stesso ritmo e si muovono psicologicamente e fisicamente sullo stesso binario'.
Il tamburo, che scandisce un ritmo binario, è accompagnato dalle nacchere, chiamate nella tradizione campana 'castagnette'. Sono composte da due parti concave di legno unite da un pezzo di cordone che, fissato tra le dita, permette il battito delle due parti che producono un suono secco.
Delle due castagnette, una è chiamata 'maschio' e si impugna con la destra; l'altra - la 'femmina' - viene impugnata con la mano sinistra. In effetti questa distinzione è motivata da una credenza comune a diverse culture che attribuisce al lato destro del corpo umano un'identità maschile, mentre a quello sinistro un'identità femminile; allora la persona quando suona è come se diventasse doppia, nel senso che è uomo e donna insieme.
Le nacchere, impugnate dagli stessi danzatori, battono l'unità di tempo, con un ritmo prevalentemente in uno; su questa base ritmica la funzione melodica è quasi sempre svolta dalla voce di un cantore che improvvisa melodicamente su modello ritmico di tammurriata. I testi, tutti a trasmissione orale, sono canti in forma di strambotti che vengono articolati per lo più a due versi per volta; il verso in unione con la musica viene fratturato, ripreso e più volte ripetuto e ad ogni distico l'esecutore aggiunge a suo piacere altri versi di forma più breve. Il canto può essere anche ritmato da altri modelli fonici, di solito versi di animali, usati come abbellimento.
Generalmente alla tammorra (è da notare che nell'Agro Nocerino-Sarnese suona una sola tammorra alla volta, a differenza di Maiori - Festa della Madonna Avvocata - dove suonano più tammorre) si aggiungono altri strumenti, quali ad esempio: triccaballacche (strumento a tre martelletti, di cui quello centrale fisso, impiantati in basso su una base di legno; si suona battendo i due martelletti laterali snodati su quello centrale); putipù o tamburo a frizione (costituito da un barattolo di legno o latta ricoperto nella parte superiore dalla pelle. Sopra vi è una canna che, bagnata con uno straccio e strofinata, produce delle vibrazioni amplificate dal barattolo e dalla pelle); scetavaiasse (costituito da due mazze di legno, una dritta ed una dentata, il cui lato opposto presenta dei cembrali. Passando la parte dentata sulla parte liscia, si ha la vibrazione dei cembali, che producono un suono).
A questi strumenti poi, a partire dal XX secolo, si è aggiunta la fisarmonica, che ha soppiantato la zampogna, probabilmente utilizzata nei secoli passati.

Fasi coreutiche della tammurriata
La tammurriata, ballo che si esegue necessariamente in coppia, prevede varie fasi: all’inizio i danzatori eseguono dei gesti con i quali si valuta il rapporto con lo spazio ed il rapporto tra i danzatori stessi, dopodiché uno dei due assume un ruolo aggressivo, ricacciato o assecondato dall’altro. Questo momento è seguito da quello sicuramente più frenetico della danza, cioè la cosiddetta 'votata' (o rotella): il tamburo batte in uno, il cantatore cadenza su una nota molto prolungata o aggiunge dei versi più brevi ed i danzatori girano su se stessi o tra di loro.
La gestualità somatica che si riscontra nella tammurriata è tutta ritualizzata, cioè qualsiasi gesto che si compie assume un significato simbolico che può essere compreso appieno solo dagli stessi membri di quella comunità di cui la tammurriata esprime l’identità culturale. La tammurriata è il ballo contadino per eccellenza: la maggior parte dei gesti coreutici eseguiti sono tratti dal lavoro quotidiano (come ad esempio la simulazione dell’atto del vangare, seminare, etc.) oppure si tratta di gesti di imitazione degli animali, soprattutto gallinacei (il cui significato antropologico è analogo a quello riscontrabile nelle feste della Madonna delle Galline di Pagani, paese del salernitano, e della Madonna Avvocata dei Monti Lattari).
Ma questi gesti così carichi di simboli che rimandano alla terra, alla primavera, alla vita contadina ed al raccolto, vanno interpretati anche secondo una chiave di lettura strettamente connessa alla morte ed al sesso.
Non bisogna dimenticare difatti che il ballo sul tamburo è principalmente un ballo di corteggiamento, quindi le varie posizioni assunte dal corpo, in particolar modo delle mani, delle braccia e delle gambe, esprimono chiaramente diniego o consenso nei confronti dell’altro.
Tutto questo avviene all’interno di quello che gli stessi danzatori definiscono 'cerchio magico': un cerchio tracciato dalle varie coppie di danzatori con i loro movimenti (all’interno del quale poi ogni singola coppia traccia il suo proprio cerchio), dai suonatori e dagli 'spettatori', i quali tutt’intorno formano una barriera. Si delimita in questo modo lo spazio in cui agire, con chiara volontà di possesso dello stesso, dell’altro danzatore o di cacciata di quest'ultimo dall'area territoriale.
Il ritmo del ballo e del canto è espresso nel complesso da tutte le parti del corpo – la testa, il collo, il bacino, gli arti inferiori e superiori - in questo modo si cerca di liberarsi dalle angosce e dalle tensioni alle quali quotidianamente si è sottoposti. 'Allora l’atto di ripeter uno stesso gesto aritmicamente', ricorda Romeo Barbaro, uno dei principali interpreti di questo affascinante repertorio, 'è dettato, oltre che da un istinto naturale, da un'angoscia che, non risolta, determina la ripetizione ossessiva di una stessa azione'. Si tratta quindi di una sorta di azione purificatrice attraverso la quale si cerca di esorcizzare le paure quotidiane e le frustrazioni, di dare libera espressione all’io individuale.
A proposito dell’individualità, bisogna precisare che il ballo sul tamburo, oltre ad essere vissuto come evento rituale collettivo in quanto inserito nel contesto comunitario della festa, va colto anche nell’aspetto individuale poiché il singolo danzatore tende ad esprimere la propria verità, i propri bisogni, i propri conflitti psicologici. Si può parlare quindi di 'stili individuali', vale a dire che accanto agli elementi formali passati dalla tradizione e che sono riprodotti in maniera iterativa, ogni danzatore può assumere pose ed eseguire movimenti propri e diversi l’uno dall’altro. Allo stesso modo i cantatori, oltre ad assumere un certo tipo di espressività determinato dal modo di adoperare gli strumenti, possono improvvisare estemporaneamente sulla base di modelli musicali tradizionali.
'Così il cantatore popolare', continua Romeo Barbaro, 'è tanto più valido per quanti più canti conosce, per quanta più fantasia adopera nell’usare i versi tradizionali, nel mischiarli, fratturarli, per quanto più riesce a usare i modelli e variarli al momento dell’esecuzione'. Ne consegue che nessun canto viene eseguito allo stesso modo, nemmeno dallo stesso interprete in quanto altre variabili sono determinate anche dal momento in cui si canta e dal rapporto che si instaura tra il cantatore ed i partecipanti.

La tammurriata tra passato e presente
Il canto ed il ballo sul tamburo hanno una storia che ricopre uno spazio temporale lunghissimo, ma questo non vuol dire che abbiano avuto sempre vita facile. E' da sottolineare infatti l’atteggiamento ostile che la borghesia o la cosiddetta 'cultura dominante' e la Chiesa hanno assunto in passato nei confronti di questa forma espressiva musicale-coreutica; caratteristica della 'classe subalterna'. La tammurriata è stata spesso giudicata oscena, licenziosa, un oltraggio al pudore vista la forte ed evidente carica erotica emanata dalle parole, dalla voce, dalla gestualità. Tanto è vero che negli anni '50-'60 del secolo scorso le donne potevano esibirsi nelle danze solo in casa, in occasione di eventi privati, mentre coloro che partecipavano 'attivamente' alle feste popolari erano considerare donne 'poco serie', vista l’eccitazione fisica che queste danze sfrenate provocava in loro. E' per questo motivo che fino ad alcuni anni fa la tammurriata era un ballo eseguito in pubblico da coppie formate quasi esclusivamente da uomini, mentre oggi è eseguita indistintamente da coppie uomini-donne, uomini-uomini e donne-donne.
Comunque se negli anni '60 la tammurriata raggiunge l’apice della sua diffusione, poi inizia la sua fase discendente a causa di una crisi che coinvolge il folklore nel suo complesso. Ma negli anni '70, grazie al lavoro di ricerca svolto da Roberto De Simone e dalla 'Nuova Compagnia di Canto Popolare', a cui si deve tra l’altro la rielaborazione di alcuni testi (che, ricordiamo, sono stati trasmessi oralmente) con l’aggiunta di nuovi strumenti, c’è stata una presa di coscienza del valore di tale patrimonio culturale. A partire dagli anni '90 per giungere fino ai nostri giorni si è assistito invece ad una lenta e progressiva 'metamorfosi' della tammurriata della civiltà contadina. Alcuni giovani dell’ambiente contadino hanno difatti cominciato a muoversi in un ballo che ricordava quello degli anziani ma con un'ottica un po' diversa: quella della spettacolarizzazione della danza. I movimenti sono così esasperati, ampliati; lo spazio tra i danzatori si è ristretto; hanno iniziato a ballare molte coppie contemporaneamente, mentre nelle comunità più antiche ballava una sola coppia alla volta. Questo modo di ballare, più staccato dalla terra e più anonimo, ha favorito l'incontro con i giovani cittadini dando vita a quello che oggi amplifica la lettura in chiave erotica alla ricerca di un momento liberatorio. Se bisogna tenere conto delle esigenze delle nuove generazioni, accettando quindi anche modi di suonare e ballare diversificati, funzionali al mondo in cui ci si ritrova, è necessario essere consapevoli anche del punto di partenza: i nostri anziani. I vecchi 'portatori' della tradizione sono infatti molto spesso tagliati fuori, emarginati, essi stessi non si riconoscono in questi modi di esprimersi, in questa spettacolarizzazione del popolare.
E' evidente che il contesto socio-economico nel quale agiva l’originaria tammurriata è profondamente mutato, sarebbe quindi un’operazione anacronistica riproporre sic et simpliciter il vecchio modello nei nostri giorni, ma sarebbe ugualmente sbagliato riproporre la vecchia cultura contadina in uno spazio ed in un tempo defunzionalizzato e decontestualizzato.
Allora quale potrebbe essere la soluzione? La risposta a questo 'dilemma' potrebbe risiedere in un compromesso tra la vecchia e la nuova generazione. Ciò significa che i giovani che intendono accostarsi a questo tipo di musica dovrebbero avvicinarsi con molta umiltà e rispetto ai cosiddetti 'vecchi del mestiere'; in questo modo si potrebbe instaurare un vero contatto con il mondo popolare, capirne i segreti, le magie.
Ciò rappresenterebbe un buon punto di partenza per una armoniosa collaborazione verso forme musicali che, sebbene modernizzate, tengano conto di una cultura che è 'altra' dalla nostra.
D’altronde, se i motivi che hanno spinto le generazioni dei nostri avi ad immergersi in tali forme coreutico-musicali sicuramente non possono essere gli stessi di chi vive nell’era della cosiddetta globalizzazione; ciò che certamente è rimasto immutato nel tempo è l’esigenza di trasmettere le nostre passioni, le nostre emozioni, il nostro mondo interiore.
La tammurriata da questo punto di vista può assolvere ancora tale compito di comunicazione e di incontro ma è pur vero che oggi a questi scopi principali si affiancano altre motivazioni. Ecco che allora il ballo sul tamburo può rappresentare, per chi lo esegue, una competizione, una sfida con gli altri 'concorrenti', una esibizione, dando quindi grande importanza alla coreografia ed alla scenografia. E non va dimenticato che per alcuni può rappresentare un grosso business.
Magari verrebbe da pensare che tutto va bene purché la tradizione non scompaia ma probabilmente sarebbe preferibile il 'ballo libero e spontaneo' a quello sul palco, dove molto spesso si notano solo movimenti meccanizzati: movimenti forse dai quali è molto difficile, se non impossibile, riuscire a capire quello che sono stati i nostri nonni ieri e quindi ciò che siamo noi oggi.
 

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